Hi ha! Le asinate visuali allucinatorie degli economisti borghesi. Ciò che non è scientifico non è marxista, e viceversa



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HI HA! LE ASINATE VISUALI ALLUCINATORIE DEGLI ECONOMISTI BORGHESI.

Ciò che non è scientifico non è marxista, e viceversa.
Secondo la vecchia canzone popolare francese, il buon vecchio contadino di una volta aveva due bui bianchi nella sua stalla. Io invece, mentre finivo l'ultima tappa del dottorato (Ph.D) fui accusato (illegalmente) di essere “ossessionato con la legge del valore” marxista e fui impedito di terminare la mia tesi; a grandi colpi di assillo condotti da ruffiani con la credenza nella propria impunità personale e istituzionale, mi ritrovo davanti a tutta una stalla di asini, capaci solo di diminuire la disciplina, asini per lo più ebrei e filosemiti nietzschiani, tra i quali due in particolare, ai quali dedico questa lump-sum* di “gioia” spinoziana sotto forma di un refrain ritoccato in loro onore ed in onore dei loro poveri proxies.

Ho due grandi asini nella mia stalla,

L'uno si chiama Samuelson, l'altro Solow,

La loro storia mette in balla,

le finzioni di due identici “salauds”**
XXX
Indice:

Introduzione

Prologo: le principali lacune del paradigma marginalista rappresentato da Samuelson.***

1) tabella e curva delle domande

2) tabella e curva dell'offerta

3) tabelle e curve del punto di equilibrio: punto di intercettazione e di equilibrio.

  1. Constatate voi stessi (idem p 95) quel mirabile spostamento a sinistra o a destra delle curve (alla luce delle chiarificazioni anteriori.)

Conclusione.

Brani A) Synthèse de la critique définitive au marginalisme (in italiano: “Sintesi della critica definitiva indirizzata alla teoria marginalista”, del 23 febbraio 2008: “3)L'utilità e la produttività marginale dinamica e tecnologica secondo R. Solow.

Note.

Brani B) APPENDICE: Offerta e Domanda reinserite nella logica della “domanda sociale” a partire di un brano dello saggio LEGGE DEL VALORE DI MARX: CONFUTAZIONE DEFINITIVA DELLE INETTITUDINI ANCORA EMESSE RELATIVAMENTE AL PRESUNTO CALO DEL SAGGIO DEL PROFITTO del 12/08/2009, non ancora reso pubblico.)

Introduzione:

Offriamo qui una critica marxista delle asinate marginaliste usualmente presentate sotto la forma del equilibrio tra curve di offerta e di domanda a partire del canonico manuale di Samuelson. Dato che non si è visto fin qui nessuna confutazione, con un giusto ritorno del pendolo, consideriamo questa critica come la distruzione definitiva e compiuta del paradigma economico borghese; ovvero la sua distruzione “roots and branches” secondo la frase, in sua bocca pretenziosa, ideata contro il Capitale di Marx dal pitre Böhm-Bawerk, poi tipicamente intrappolato nelle sue proprie reti.

Quando i sistemi non sono più retti da un modicum di razionalità scientifica capace di giustificare i loro modi di legittimazione, finiscono fatalmente per appoggiarsi sempre di più sopra la propagazione demagogica del oscurantismo più arrogante che sia. I dirigenti ricorrono allora apertamente a tutte le armi disponibili nelle mani del Potere, il quale pretende disporre solo del monopolio “legittimo” della violenza, malgrado la legge naturale, ossia “il diritto delle genti”, e malgrado il principio repubblicano di sovranità popolare, ambedue frontalmente contraddetti da questo esproprio. Osserviamo oggi con maggiore chiarezza questo ricorso al potere inteso come “forza brutale”, una pratica che non può più essere descritta come un affare benigno di “soft power” ma piuttosto come il “ritorno” criminale del Martello nietzschiano, nuovamente rivestito dei suoi stracci moralizzanti e inquisitori filosemiti nietzschiani. Questo vale tanto sul piano esterno con le guerre preventive quanto sul piano interno con le leggi liberticide come il Patriot Act e le sue copie europee di seconda mano. Questi regimi segnalano così l'imperativa necessita per i popoli vittime di spazzarli via senza pietà della scena della Storia Umana.

In particolare per quello che concerna la funzione di produzione dimostriamo l'errore letale dei marginalisti nel addizionare allegramente le mele, le arrangia e le banane mentre incassano dei Premi Nobel incestuosamente attribuiti. Si sarebbero risparmiato questa indegna prodezza se avessimo solo preso la pena di leggere il Libro I del Capitale nel quale le distinzioni relative agli elementi che entrano nella funzione di produzione sono scientificamente stabiliti, come pure le uguaglianze economiche non fallaci che ne discendono. Ma preferiscono abbandonarsi alla loro propensione naturale nel credere unanimemente nell'esistenza di una contraddizione logica insuperabile e letale tra il Libro Uno (valore) e il Libro Tre (prezzi di produzione) del magnum opus di Karl Marx, una storia purtroppo inventata da A a Z dal pitre Böhm-Bawerk, e poi ripresa in coro, con l'eccezione notevole dei bolscevichi. Ma come ben sappiamo, i pitre finiscono usualmente nel credere loro stessi nelle proprie inventate finzioni, dandole pero come verità rivelate.



Addizionare entità di natura diversa non basta per questi tizzi pitre pontificanti: alla scorta di Jean-Baptiste Say e di Walras, affermano che si deve “offrire per domandare”, dimenticando cosi che ogni scambio economico è, per sua natura stessa, bilaterale! Così si concentrano senza perdere tempo sopra i schema di offerta e domanda, preoccupati unicamente dalla futilità del prezzo di mercato di prodotti simili o fortemente elastici. X = X, che bella roba che abbiamo qua! Intanto questo credo sempliciotto permette di fuggire alla questione principale, cioè in termini del valore di scambio, o per meglio dire in termini puramente economici, come può accadere che X = Y (oppure che una quantità di X = una quantità di Y) o, se si preferisce, che 7 ore di lavoro in a = X , mentre 7 ore di lavoro in b = X + n? Nel medio e lungo termine non è certo il mercato che importerà nella creazione del valore rannicchiato nel prezzo di mercato, sarà invece la qualità tecnica e organizzazionale dei processi di produzioni implicati. Lo sforzo tautologico dei marginalisti è ridondante perché è già necessariamente incluso negli input della funzione di produzione condizionata dai dati tecnici, e poi stimati in valore o in prezzo (costo di produzione ma ugualmente sovrappiù). Sono questi dati tecnici che permettano concretamente le offerte e le domande in questione. Ora, Adam Smith aveva insistito a giusto titolo sopra due punti fondamentali per l'economia politica intesa come una nuova disciplina scientifica: a) la divisione del lavoro interna e esterna alle imprese; b) la necessaria commensurabilità delle merci diverse tra loro, questo essendo il vero problema dell'economia politica e della sua critica almeno sin da Aristotele, problema che solo Karl Marx sarà capace di risolvere scientificamente, dimostrando che la genesi del profitto nel rapporto di sfruttamento produce un sovralavoro. Partendo da una legge del valore incompiuta, Adam Smith cascava sopra una funzione di produzione parziale scritta c + v = M, cioè capitale costante più lavoro = prodotto, il che lo forzava ad ammettere l'illegittimità del profitto aldilà del salario del manager (“Amano raccogliere là dove non hanno mai seminato” scriveva con un certo sdegno, p 47, ed. Sutherland 1993. La traduzione è mia.) Riprendendo il ragionamento, Marx ristabilisce la funzione di produzione completa; lo fa sulla base della sua propria legge del valore scientificamente delucidata: la funzione di produzione diventa allora c + v + pv = M, cioè capitale costante + capitale variabile + sovrappiù = M. In questo modo, Marx metterà a nudo il mistero del profitto e dell'accumulazione capitalista, scoperta che tutti i borghesi cercheranno in seguito di occultare. Marx lo fa magistralmente senza rompere l'uguaglianza economica di base tra somma degli input e output della funzione di produzione, uguaglianza senza la quale l'economia cascherebbe irrimediabilmente nell'irrazionalità la più cupa. Si capisce d'istinto che l'ignoranza della genesi del profitto impedisce ai marginalisti di pensare scientificamente la differenza tra profitto e interesse, confusione colpevole di aggravare le numerose crisi sistemiche e speculative subito dopo lo sviluppo e l'autonomizzazione del credito (Oggi le condizioni sono peggiorate parecchio. Secondo certi autori, i prodotti finanzieri costituivano attorno a 3 % del PIL nel 1999 ma almeno 3 volte di più recentemente.) In modo simile, una contabilità nazionale o imprenditoriale fondata sopra questa pseudo-teoria può solo portare alle inettitudini del genere PIL, dalle quali sono derivate, necessità pratica obbligando, le ricette di cucina utilizzate negli affari quotidiani. Insomma, abbiamo il vecchio buon libro a doppie entrate ma falsificato a suo malgrado da una pseudo teoria che non è neanche capace di distinguere ontologicamente tra economia reale e economica speculativa. I marginalisti, come d'altronde tutti gli altri teorici borghesi, negano la necessità della commensurabilità tra merci diverse; finiscono dunque fatalmente con creare falsi e puerili problemi nei quali possono fare assalti di grande competenza matematica addizionato, senza nessuna vergogna ma nella massima pomposa felicità, le mele e le arrangia con le banane, all'immagina degli asini col basto in titolo, sempre necessari al regime che vanno servendo con tanta fierezza. La loro scienza economica è solo un miraggio allucinatorio.

La critica marxista presentata qui pretende essere il punto di arrivo definitivo del maldestro tentativo di critica interna tentato da Piero Sraffa e alcuni altri. Si consulterà l'articolo di Piero Sraffa del 1926 intitolato «The Laws of Returns under Competitive Conditions, The Economic Journal, XXXVI, 1926, pp. 535-550 http://homepage.newschool.edu/het//texts/sraffa/sraffa26.htm . Il loro insuccesso era dovuto alla loro incapacità ideologica di proporre una critica marxista, malgrado il fatto che le loro ipotesi principali errano fondate sopra una certa conoscenza dell'opera di Marx, se non altro attraverso Gramsci, almeno per quello che riguarda Sraffa. Assistiamo qui ad una tipica occultazione universitaria. Ma quella dei cosiddetti neo-ricardiani non è niente paragonata all'imperialismo filosemita nietzschiano esercitato dai marginalisti nel pretendere occupare soli il diparto della scienza economica, malgrado la loro auto-inflitta incapacità di pensare e di addizionare in modo diritto.

Negli anni 60 e 70 fummo costretti ad assistere alla famosa controversa tra Cambridge USA (Samuelson e Solow tramite poveri studenti interposti) e Cambridge UK (Sraffa e Joan Robinson), controversa centrata appunto sopra la funzione di produzione. Dal lato inglese, gli argomenti emanavano soprattutto dagli articoli degli anni 20 di Sraffa. Senza essere definitivi, portavano un colpo severo al paradigma marginalista. Grazie alla tutela dei Premi Nobel menzionata qui sopra, questo non ebbe nessuno effetto scientifico: al contrario, si evacuò le critiche ignorandole con tipica superbia, compreso nella scelta delle tesi, specialmente al livello del dottorato, e nella selezione dei professori. Secondo la tattica usuale, severi censori istituzionali avevano sbarrato la strada verso la Scienza! Come misura difensiva, in particolare in Grande Bretagna ed in Europa, si creò una sorte di tendenza neo-ricardiana senza legame reale con Sraffa o Robinson (i quali avevano almeno letto un poco Marx.) Questa tendenza, un momento incoraggiata dalla borghesia come uno cul-de sac aperto con malizia di classe per i marxisti universitari, produsse un ostrogoto a flussi costanti. In Italia, ad esempio, questa tendenza servì a fare avallare il cosiddetto Patto sociale del 1992, un attacco reazionario senza precedente contro le conquiste della classe operaia (in particolare, la fine della scala mobile, cioè dell'indicizzazione dei salari all'inflazione). Tutto questo fu compiuto giustificando ugualmente il sabotaggio interno del PCI, il partito marxista di Gramsci a chi Sraffa doveva la sua comprensione critica e le sue conoscenze di Marx. Vi risparmio qui un patetico asino plagiario come Bellofiore, in tandem con un altro asino patentato benché non universitario, Bertinotti. Sarebbero tragicamente ridevoli con le loro pretese di proporre un lavoro a “ritroso” ed altre “decostruzioni”... se non causassero tanti guai, in primo luogo ai studenti ed all'altra sinistra italiana. Si tratta di un'operato ciarlatanesco purtroppo sempre portato avanti con fondi pubblici.

Tutto questo è scandaloso. La posta in gioco è la scelta tra oscurantismo o scienza. Se l'università non può essere totalmente estirpata dalla dominazione di classe, il suo primo dovere rimane la ricerca scientifica. Al contrario, i filosemitici che controllano la presunta scienza economica, sono riusciti a cancellare ogni espressione accademica incompatibile con il loro proprio ostrogoto. Mi si conceda di sottolineare con penna rossa un altro scandalo che rafforza il primo: con le sue tasse, il proletariato finanza le scuole e le università borghesi dalle quelli viene quasi interamente escluso, specialmente per colpa di un insegnamento classista e primitivo, e di una selezione che si richiama più alla logica delle caste nonché a quella delle classi sociali. Quando viene paragonata a questa pratica, la selezione popolare praticata tempo fa dai Gesuiti assomiglia quasi ad una profilassi contro l'imbecillità culturalmente trasmessa. Siamo proprio arrivati ad un punto dove la crisi economica si aggrava, esibendo ogni giorno di più un disinnestare letale tra teoria e realtà, tra economia reale e economia speculativa, tra inflazione e prezzo, allorché si vorrebbe pretendere d'autorità, ma controllando rigorosamente i flussi di comunicazione, che il paradigma marginalista è una scienza rivelata.

Ora, basta! Ben inteso, le ipotesi anche le più serie non possono essere trattate come dei concetti “concreti-pensati” (secondo il Metodo di Marx) ma, una volta dimostrati, questi ultimi non possono più essere evacuati ideologicamente dall'universo accademico. Viceversa, l'oscurantismo dell'ineguaglianza coltivato come credo non dovrebbe avere diritto di soggiorno nelle istituzioni dedicate all'avanzamento delle conoscenze. Per parte mia, io rimango persuaso che ciò che non è scientifico non è marxista; e oso affermare che la proposta inversa è necessariamente vera, questa affermazione risultando della mia comprensione dei metodi di “investigazione” e di “esposizione” adoperati tanto dalla dialettica della natura e dalla dialettica della storia, quanto dalla dialettica comprensiva (“dialectique d'ensemble”) dalla quale Marx scaturì il materialismo storico.

Ecco dunque una critica marxista dalla quale i teorici borghesi non si rialzeranno mai più. Ben inteso, faranno finta di non essere al corrente, mentre cercheranno il mezzo di impedirne la divulgazione, con la speranza di potere così cercare a falsificarla quando io stesso non sarò più in grado di rivelare le loro mistificazioni e i loro plagia rovesciati (secondo le solite usanze che non hanno nemmeno risparmiato l'edizione del Capitale di Marx.) Ecco perché questo lavoro, con le sue referenze ai miei libri assieme ai miei altri articoli disponibili nel sito http://lacommune1871.tripod.com, viene indirizzato in particolare modo ai più giovani ed ai più onesti. A tutte/i quelle e quelli che pensano ancora di avere una coscienza, essendo sicuri di non volere mai mercificarla. A tutte/i quelle e quelli che sono ancora capaci di pensare in modo ugualitario scientificamente con la propria testa.



Prologo: le principali lacune del paradigma marginalista:

La determinazione del punto di intercettazione delle curve di offerta e di domanda è diventata la formula consacrata della teoria borghese della libera concorrenza, se si vuole del “libero mercato”, il Nuovo Vitello d'Oro. La concorrenza include la mobilità del capitale e di tutti i fattori di produzione, il lavoro umano essendo considerato liquefatto, nella sua forma monetaria, all'immagine di tutti gli altri fattori di produzione, un ipotesi barbarica ma sopratutto sprovvista di ogni fondamento scientifico. L'ideologia della concorrenza serve unicamente come specchio alle allodi, come trucco allucinatorio ideato per mascherare la genesi del profitto che altro non è che il sovralavoro rapportato alla somma del capitale costante e del capitale variabile utilizzati nella produzione. A proposito del profitto espropriato dai capitalisti ben aldilà di quello che servirebbe per retribuire legittimamente il loro contributo al lavoro comune, Adam Smith, il padre dell'economia politica classica, scriveva :” Amano raccogliere là dove non hanno mai seminato”**** (Adam Smith, p 47, ed Sutherland 1993.)

Con la sua perspicacia usuale, Karl Marx spiega che la borghesia presenta sempre il mondo alla rovescia, con la speranza di difendere e di preservare i suoi privilegi. Le diverse versioni della concorrenza che mettano in opera l'offerta e la domanda armonizzate dalla “mano invisibile” altro non sono che varianti di una ideologia oggi criminale, mirata solo a legittimare l'esproprio borghese delle ricchezze comuni.

Portando il maldestro tentativo di Piero Sraffa a suo termine, ci concentreremo qui sopra la critica interna della presentazione standard di questa teoria. Lo faremo a partire del manuale di Samuelson. Per inquadrare bene questa critica, vano ricordate rapidamente le lacune maggiori come pure gli errori coscientemente occultati e difesi da questa teoria borghese.

La funzione di produzione deve necessariamente essere scritta nel modo seguente: c + v + pv = M, dove c rappresenta il capitale costante utilizzato nella produzione e v il valore di scambio della forza di lavoro. Per i marxisti v appare simultaneamente sotto due forme. Prima, come lavoro passato incorporato nel capitale; questo viene dunque concettualizzato come “capitale variabile” dato che concerna solo il valore di scambio della forza di lavoro quantificato dal salario; in seguito v appare pure come “lavoro vivo”, il quale possiede ugualmente in esso il valore di uso solo capace di trasformare altri valori di uso esistenti (materiale ecc) in un prodotto nuovo dotato di un proprio valore di uso, prodezza che solo il lavoro umano è in grado di produrre, direttamente o indirettamente con l'aiuto delle macchine, dei robot e/o della cosiddetta Intelligenza Artificiale; il valore di uso della forza di lavoro viene speso durante la giornata di lavoro aldilà di quello che costa per riprodurlo in quanto forza di lavoro: la differenza appare dunque qui come sovralavoro notato pv dal punto di vista della notazione contabile in termini di valore di scambio usato per descrivere il processo di produzione immediato. Illustrazione semplice: per una giornata di lavoro di 8 ore ipotetica, 4 ore bastano per produrre il salario, i contributi e le tasse, le altre 4 ore lavorate, dunque il sovralavoro descritto in termini di valore di uso, costituisce il profitto quando viene descritto in termini di valore di scambio. Ma dice Marx nel Capitale Libro I, quando ha pagato le prime 4 ore di lavoro con il salario, ovvero ciò che è socialmente necessario al lavoratore per riprodurre le sue forze, il capitalista pretende di potere utilizzate sua forza di lavoro per tutte le 8 ore siglate nel cosiddetto “contratto di lavoro”. Contratto ovviamente “libero” secondo un concetto borghese e formale di libertà utilitarista difeso da John-Stuart Mill, Jeremy Bentham e tutti gli altri profeti della borghesia, ecc... In tale situazione, dopo avere firmato il contratto di lavoro, il lavoratore non ha più nessuna altra scelte se non quella di seguire ubbidiente il suo padrone, “l”uomo con i scudi”; lo segue infatti come uno che ha venduto la propria pelle e che sa di non potere più sperare altro se non di di farsi conciare. (Vedi Capitale, Libro I, Seconda Sessione, ultimo paragrafo del capitolo VI.)

Per i borghesi quando hanno pagato il salario pensano di avere pagato tutto il valore della forza di lavoro; considerano dunque il lavoratore come la loro proprietà, almeno per tutta la durata prevista dal “contratto di lavoro” nel quale il lavoratore è presunto entrate in modo “libero”, se non realmente in termini di uguaglianza delle armi .... I marginalisti scrivano la funzione di produzione secondo il modello seguente (eg. di Solow): Y = f(K,L) dove K è il capitale senza altra distinzione, e L il lavoro, ancora qui senza altra distinzione. Questo riviene a scrivere la funzione di produzione nella stessa maniera nella quale appare in Adam Smith, al quale pero causa per lo meno un grave problema logico, difetto che i marginalisti desiderano disperatamente occultare, cioè c + v = M. Dato pero che il profitto è superiore a v, il che rimarrebbe il caso anche se v includesse il salario dei manager e di tutti quelli che partecipano realmente al processo di produzione delle merci, questa uguaglianza è scientificamente insostenibile. Rimane solo rigurgitare le inettitudini di Jean-Baptiste Say; sappiamo che questo ultimo cercava di strumentalizzare l'esempio del denaro di carta di Ricardo col fine di pretendere che l'economia poteva reggersi facendo astrazione di questa sgradevole uguaglianza e inventandone un'altra più comoda: in effetti, Say, come d'altronde tutti gli asini borghesi neoliberali attuali, finge di ignorare che la moneta di carta di Ricardo rimane strettamente dipendente della sua convertibilità in oro, cioè, in termini marxisti, rimane dipendente di un equivalente generale, certo comodo, ma il quale deve a suo turno essere spiegato razionalmente con la logica dell'equivalente universale, sta a dire il valore di scambio della forza di lavoro.

Se i borghesi avessero ragione, la funzione di produzione prederebbe la forma seguente: c + v + x = M, senza che si sappia da dove scaturisce questo valore di scambio supplementare notato qui come x (i.e. il problema logico sul quale casca con onestà sin dall'inizio il grande Adam Smith.) Se questa somma x era l'effetto di un trucco prodotto dalla concorrenza, allora potrebbe riflettere solo un miraggio ideologicamente mantenuto. Ora, se questo x non è equivalente al sovralavoro prodotto durante la giornata di lavoro ma non remunerato con il salario, l'economia non avrebbe più nessuna base scientifica, visto che non saprebbe neanche rispettare l'equazione di base che definisce la sua funzione di produzione. Sin dal 1844, Marx nota con perspicacia che la concorrenza si cancella sul lungo termine, cosa necessaria visto l'operato della mobilità del capitale, in modo che la concorrenza non può più spiegare niente da se stessa. Di conseguenza, si deve trovare un'altra base scientifica all'economia, cioè la Legge del Valore esposta nel Capitale (malgrado qualche problemi di edizione tipicamente sovradeterminati, ma certo non dovuti a Marx stesso, i Libri II e III essendo stati pubblicati in maniera postume da altri, Engels stesso essendo già troppo anziano e costretto a delegare una gran parte del compito.)

Da questo problema iniziale ma letale seguano tutte le contraddizioni irrimediabili presenti in tutte le varianti della presunta scienza economica borghese. Menzioneremmo qui le principali.

La funzione di produzione borghese essendo bancale, il “mercato dei mercati” (Walras), il quale dovrebbe ipoteticamente portare alla determinazione scientifica del modus operandi della “mano invisibile”, non può essere altro che una mega-allucinazione di almeno tre mercati principali, tutti liquefatti al massimo, cioè il mercato dei beni capitale, il mercato del lavoro e il mercato del denaro. Peggio ancora, il problema ex ante/post hoc fraudolentemente attribuito da Böhm-Bawerk a Marx (la presunta contraddizione tra valore e prezzo di produzione) ricade pesantemente sopra la testa degli economisti borghesi, dato che i loro schemi mettano in contraddizione letale i costi di produzione (ex ante) e i prezzi (post hoc) con i quali si predente intanto cifrare il profitto. Il serpente massonico borghese inventato da Böhm-Bawerk et ali si morde così lamentevolmente ma caratteristicamente la coda.

A questo si aggiunge una incomprensione quasi-patologica del ruolo della moneta e del credito nell'equilibrio generale, o più precisamente nella Riproduzione Allargata, cioè nell'ottica della crescita dinamica. L'economia borghese non è capace di distinguere tra economia reale e economia speculativa – neanche nelle sue statistiche fasulle. In effetto, confonde “l'equivalente generale”, la moneta, il più spesso messa alla salsa pseudo-psicologica di G. Simmel, con “l'equivalente universale”, il valore di scambio della forza di lavoro, solo metro concepibile per tutte le merci, moneta e forza di lavoro incluse. Così fatalmente il credito diventa interamente autonomo vis-à-vis della sfera della produzione, e degenera di conseguenza rapidamente in credito speculativo: Questo serve solo ad aggravare le crisi di sovrapproduzione e di sottoconsumo endogeni al modo di produzione capitalista, crisi strutturalmente dovute alla ricerca costante della produttività massima dei capitali individuali nel loro tentativo di eliminare ogni loro concorrente dal mercato. (Va ricordato qui che la produttività, forma dominante dell'estrazione della sovrappiù nel modo di produzione capitalista, consiste nel produrre più beni di un certo tipo durante un medesimo tempo di lavoro ma con la stessa forza di lavoro espressa in termini di potere di acquisto, il che implica meno lavoratori fisici visto l'approfondimento della composizione organica del capitale notata v/C, dove C = c + v. Le altre forme di estrazione della sovrappiù sono la sovrappiù assoluta, l'intensità pontuale, e, per la transizione fuori del capitalismo come pure per il socialismo ed il comunismo, la “sovrappiù sociale”.)

Questa incomprensione del ruolo della moneta, ridotta ad un semplice equivalente generale, spiega l'incapacità borghese a capire l'inflazione in tutte le sue forme. Il monetarismo è arrivato a strangolare crudelmente M1, l'aggregato monetario equivalente grosso modo alla massa salariale, con la speranza di giugulare l'inflazione, mentre lasciava filare M2 e M3 speculativamente senza nessuno controllo, sopprimendo di più in questo processo perverso ogni velleità di imposizione dei ratio prudenziali. Tutto questo effettuato con l'aiuto dello Stato filosemita nietzschiano (reaganiano, monetarista e neocon crociato) uno Stato caratterizzato dalla pratica anti-repubblicana della “flat-tax”, dalle tasse indirette fortemente regressive e dai scudi fiscali.


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